1 giugno 2010

Non ci sto

Leggo il commento di Dario Di Vico sul Corriere della Sera e rimango sconvolta:
Forse è maturo il tempo per aprire una riflessione su quello che per amor di semplicità potremmo definire "rivalutazione del lavoro manuale".
In pratica Di Vico spiega: c'è la crisi e i giovani sono le vere vittime, come ha detto ieri lo stesso Draghi. La soluzione? Gli uomini tornino nelle fabbriche, le donne vadano a fare le badanti, e per chi si è già iscritto al liceo occorre trovare vie d'uscita per evitare loro un'inutile laurea.
Se queste sono le indicazioni dei nostri padri per rispondere a una disoccupazione giovanile che tocca il 50%, vorrà dire che dovremo rimboccarci le maniche da soli.
Perché, scusate tanto, ma non ci sto. E penso che i nostri padri abbiano lavorato tanto non per regalarci lo stesso destino, ma per consegnarcene uno migliore, nella logica globale dell'evoluzione della specie.
Si chiama progresso, ed è lì che vorrei andare. Possibilmente insieme al mio paese.



13 commenti:

Anonimo ha detto...

Anch'io voglio il progresso e lotterò. Dobbiamo lottare sempre, non ci regalerà niente nessuno

Max ha detto...

Ci sono altri tipi di lavori, ma i "potenti" non vogliono legalizzarli. Per quanto riguarda il lavoro manuale, credo che bisognerebbe incentivarlo con stipendi alti... Detto questo credo che quella dichiarazione sia assolutamente fuori luogo, perché di fabbriche in Italia c'è ne sono sempre di meno...

melgigi ha detto...

Il tuo è un giudizio frettoloso, cieco ed ipocrita (mi dispiace dirlo perchè di ammiro). Ogni lavoro ha pari dignità, questo dovrebbe essere insegnato a tutti, un falegname non è peggiore di un medico, non è indispensabile essere laureati o lavorare in un ufficio per essere realizzati nella propria vita, l'importante è trovare un lavoro, che può essere anche fare l'operaio o la badante (che male ci sarebbe)che ti faccia sentire realizzato. il vero problema è che affinchè tutti i lavori abbiano pari dignità è necessario che vengano giustamente e correttamente riconosciuti e ricompensati, per evitare quelle differenze sociali alla base di questo "razzismo lavorativo".

socialista eretico ha detto...

vedo che Sacconi ha fatto scuola.
l'ho io una soluzione: 'sto tizio e quelli inutili succhiatori di stipendio senza idee si tolgano dalla balle e lascino il loro posto ad un giovane.

Anonimo ha detto...

"perché di fabbriche in Italia c'è ne sono sempre di meno"
I nostri padri, per non lavorare in fabbrica, iniziavano apprendendo la grammatica italiana...

Peraltro la superficialità di questo post dimostra che i giovani italiani si meritano quello che hanno: vogliamo sempre più un lavoro comodo, orari comodi, una scrivania, un pc, niente mani sporche.... ma per creare ricchezza serve fare impresa, e per fare impresa servono imprenditori, quelli veri, che vanno alla mattina presto nella bottega a sporcarsi e faticare, con il sogno e l'ambizione di far crescere la propria azienda.
I giovani italiani non lo vogliono fare, e per questo saranno surclassati dai giovani cinesi che, invece, lavorano senza problemi a ritmi forsennati. C'est la vie, madame.

Giulia Innocenzi ha detto...

@Luigi: il tuo commento è frettoloso e superficiale. Non ho mai scritto che il lavoro manuale non sia dignitoso. Quello che ritengo è che non possa essere considerato la soluzione alla crisi economica, anzi: crediamo veramente che le fabbriche italiane potranno mai competere con quelle dei paesi emergenti? Auguri.

Anonimo ha detto...

"crediamo veramente che le fabbriche italiane potranno mai competere con quelle dei paesi emergenti? Auguri"

O ci crediamo, o abbiamo 60 milioni di italiani senza futuro. Fai te...

melgigi ha detto...

@ giulia: evidentemente siamo due frettolosi. A parte le battute, credo che se parlassimo scopriremmo una vicinanza d'idee maggiore di quella che pare essere uscita qui.
Volevo solo completare il discorso dicendo che è necessario ripensare e rivalutare il rapporto di ognuno con il lavoro, affichè questo nobiliti, permetta una vta dignitosa e felice e che non sia l'UNICO fulcro della nostra vita. Se questo avvenisse, se anche l'artigiano fosse rivalutato socialmente sarebbe una delle possibili risp alla crisi, che chiaramente non può avere una sola risp, men che meno quelle date (?) da mr B. Inoltre, ma questa è utopia, se venisse rivalutato, rivoluzionato il modo di lavorare in fabbrica ebbene penso che anche le nostre fabbriche potrebbero poter competere, dove non si può combattere sul piano economico che si combatta sul piano della qualità e dei servizi. Certo da qui nasce il problema dei prezzi, del potere d'acquisto, dei salari, della condizione delle donne e dei giovani nel mondo del lavoro, ecc ecc. E' vero rivalutare i VECCHI mestieri non è la risp, non la prima almeno, ma può aiutare. AUGURI.

sassicaia molotov ha detto...

Rivalutare la manualità significa far riprendere il contatto con le cose, con la materia, con quello che usiamo tutti i giorni.
Pensa solo alla differenza fra un oggetto prodotto in serie ed uno prodotto artigianalmente.
Da questa differenza ne consegue un rapporto con ciò che ci circonda completamente diverso.
Non sarà la soluzione ma di riprendere a conoscere le nostre cose con le mani è assolutamente necessario.
E che si fotta l'economia globale.

Andrea ha detto...

Penso che con questo post si sia sollevata una questione non indifferente sulla relazione tra scuola e lavoro e sul mondo del lavoro in generale.
Qualche breve riflessione:
Nell'articolo viene criticato il fatto di studiare per acquisire cosiddette "lauree deboli", sottintendendo la definizione di deboli come quelle lauree che non permetterebbero di far trovare al laureato un adeguato sbocco lavorativo.
Sono in disaccordo completo con questa riflessione, dalla quale traggo la logica conclusione che il campo di studi sarebbe da scegliere sulla base del settore con più occupazione e non magari con gli interessi dello studente.
Sono d'accordo sull'idea di progresso come miglioramento sia delle condizioni di lavoro che delle aspirazioni di lavoro, che permetta quindi di "slegarci" dal tipo di lavoro "manuale", prevalente nei secoli scorsi.
Allo stesso tempo è vero che c'è un certo pregiudizio da superare nei confronti del lavoro manuale, inteso come lavoro che costa fatica e non dà remunerazione.
Detto questo, la riflessione dell'articolo di Di Vico non è certo azzeccata e tanto meno esaustiva, vista la complessità dell'argomento.

Barabeke ha detto...

Cara Giulia, il tuo scalfaresco grido di dolore mi ha toccato e mi ha ispirato questa lettera che ho pubblicato sul Rinascimento:

http://ilrinascimento.it/lettera-a-un-futuro-presidente-del-consiglio

Anonimo ha detto...

Evoluzione della specie e progresso della società sono concetti assolutamente distinti e non assimilabili, neanche lontanamente. Evoluzione della specie significa adattamento all'ambiente, non sottointende il miglioramento, solo l'adattamento. Il progresso sottointende il miglioramento da una condizione sociale negativa ad una migliore per gli elementi che compongono la società.

Viene anche da chiedersi se sia più progredita una società di laureati in scienza delle merendine in università prestigiose e costose o una di operai, fabbri e contadini.

Anonimo ha detto...

la logica globale dell'evoluzione della specie dovrebbe prevedere anche l'approdo ad uno stato al servizio del cittadino, meno burocratico e farraginoso, che renda superfluo il ricorso a certe categorie professionali come i notai e i commercialisti (tanto per non fare nomi),veri e propri succhiasangue.